A giugno 2024 parliamo di corpo e piacere. Per questo abbiamo visitato anche l’attuale edizione di MAYRIT, quest’anno intitolata Wet Dreams e curata dalla dottoressa Marina Otero Verzier. L’abbiamo incontrata e abbiamo parlato di Wet Dreams, naturalmente, ma anche della funzione del design sociale nella e per la società contemporanea, dei progetti attuali e futuri.
B: Wet Dreams: cosa? perché? come?
M: Wet Dreams è sia il tema generale di MAYRIT 2024, la Biennale di Design e Architettura di Madrid, sia il titolo della sua mostra principale, esposta al CentroCentro. Sono stata contattata dal direttore del MAYRIT, Miguel Leiro, e dal direttore curatoriale, Joel Blanco, per sviluppare il quadro concettuale di questa edizione e curare la mostra.
Wet Dreams affronta il tema dell’acqua al di là della sua comprensione come risorsa, esplorando il suo ruolo di catalizzatore nelle relazioni eco-sociali. Parla di acque che guariscono, di acque tossiche e reflue, di fluidi corporei. Invita alla pioggia, ai fiumi, ai bacini e al fango. Evoca fogne e condotti nascosti dietro i muri, nelle cantine e sotto i soffitti. Invoca il mondo dei tubi e delle tubature e gli orifizi che permettono ai liquidi che impregnano i nostri mondi di entrare, così come le occasionali perdite, i gocciolamenti e gli straripamenti del represso.
La mostra mobilita il design e l’architettura come forze di istigazione al desiderio. In questo caso, però, il desiderio non è una brama di consumismo o di stili di vita insostenibili, ma un’energia creativa e collettiva che fa intrecciare i corpi e guida il cambiamento verso modi di vita alternativi.
B: Design sociale: come possiamo definirlo e qual è la sua funzione nella società contemporanea? Qual è il ruolo delle istituzioni che si occupano di formazione in questo campo?
M: Il design sociale si concentra sulle pratiche di progettazione in sintonia con le sfide ecologiche e sociali contemporanee, pratiche che incarnano un’autentica cura per il mondo. Si colloca all’intersezione tra etica, politica ed ecologia. Sottolinea la capacità del design di creare il mondo e la sua responsabilità nella riorganizzazione della società. Mette in discussione il modo in cui viviamo e i valori che guidano le nostre vite. Cerca di contrastare la natura capitalistica e modernista del design e i modi di vivere, lavorare, produrre e consumare che ne derivano.
Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo anche mettere in discussione gli spazi pedagogici convenzionali, i loro sistemi di creazione e scambio di valore e persino le idee su chi è in grado di progettare. Quando dirigevo il Dipartimento di Design Sociale della Design Academy di Eindhoven, l student provenivano da ambienti diversi, tra cui cucina, spettacolo, attivismo, musica, scienze politiche, antropologia, filosofia, arte, architettura. Tutt hanno la capacità di progettare. Abbiamo inserito queste esperienze e queste conoscenze incarnate nel programma. È stata un’esperienza straordinaria e continuo a collaborare con l designer che si sono diplomat. Tuttavia, ho sentito anche il bisogno di cercare altri spazi di pratica al di fuori dell’istituzione, più vicini all’attivismo.
B: Abbiamo letto del suo progetto Future Storage: Architectures to Host the Metaverse. È incredibile come i dati e il modo in cui vengono gestiti possano influenzare anche le esigenze più elementari. Ce ne può parlare?
M: Dal 2020, nell’ambito del progetto di ricerca “Future Storage” sostenuto dal Wheelwright Prize dell’Università di Harvard, ho condotto un lavoro sul campo sulle infrastrutture digitali, in particolare sui data center, in tutto il mondo. Queste indagini mi hanno permesso di conoscere lo stato attuale del settore dell’archiviazione dei dati, le sfide future e le strategie più avanzate. Ho appena pubblicato un libro intitolato En las profundidades de la Nube. Arquitecturas para el almacenamiento y gobernanza de datos en la era de la IA.
Il mio lavoro consiste nel collaborare con le comunità colpite dalla carenza di energia e di acqua dovuta alle attività dei centri dati. Una di queste comunità è “Resistencia SocioAmbiental – Quilicura” di Santiago del Cile, che vive accanto alla più alta concentrazione nazionale di centri dati multinazionali Big Tech. Il mio contributo consiste nel sostenere i loro sforzi per contrastare gli effetti negativi dell’industria dei centri dati sui loro ecosistemi umidi. Stiamo dialogando con il Ministero della Scienza cileno per definire il primo piano nazionale per i centri dati e orientarlo verso modelli eco-sociali. Ho anche progettato prototipi per modelli alternativi nei data center, tra cui “Computational Compost”, un progetto del 2023 con Tabakalera e DIPC. Utilizza il calore dei supercomputer per il vermicompostaggio, creando terreno fertile ed evidenziando l’impatto significativo delle infrastrutture digitali sull’ambiente.
B: A proposito di desideri… quali sono i suoi prossimi impegni?
M: Cerco sempre di impegnarmi a lungo termine in progetti di ricerca e collaborazioni. Continuerò a sostenere le comunità nelle loro lotte contro l’estrattivismo indotto dalle infrastrutture digitali, comprese le miniere di litio e i centri dati, con l’acqua al centro di questi conflitti. Inoltre, continuo a esplorare modelli alternativi per i centri dati e nuovi paradigmi ed estetiche per l’archiviazione dei dati, integrando architettura, conservazione e cultura digitale. Propongo il concetto di “lutto dei dati” come atto di resistenza contro la costrizione all’accumulo e la perdita di sovranità sulle nostre memorie digitali, ora nelle mani delle multinazionali.
Il mio progetto “segreto” è quello di aprire, insieme a mia sorella Brenda, uno spazio in Galizia, nel nord della Spagna, di cui sono originaria. La storia del luogo si intreccia con le leggende regionali della spiritualità e del Cammino di Santiago, che da secoli attira milioni di pellegrini. Ma è anche un luogo di importanti lotte contro l’estrattivismo. Ho sempre voluto tornare alle mie radici e ai miei ricordi, onorare coloro che mi hanno preceduto e prendermi cura dell’ambiente che stiamo trasmettendo alle generazioni future. Solo ora sento di poterlo finalmente fare. Chiamo temporaneamente questo progetto e questo spazio “Trabajo Peligroso” (Lavoro pericoloso), che è il titolo di uno dei quadri di mio padre che mi ha sempre incuriosito e che non ha mai voluto spiegare fino in fondo.
B: Grazie, Marina
M: Grazie a voi
Se c’è una cosa che abbiamo capito dopo l’ultima edizione sul convivialismo, è che tutto è più bello se condiviso. Abbiamo quindi deciso di dedicare uno spazio editoriale al design e a tutto ciò che facciamo oltre i confini della Design Week, attraverso interviste, approfondimenti, curiosità, tutto sul mondo del design.